Oggi, nell’ideale di molti aspiranti startuppers, creare una Startup di successo ha lo stesso significato che aveva nel lontano ‘800, per i pionieri della frontiera americana, la conquista del Far Wild Old West: un mondo utopico, tutto da scoprire, da costruire, dove la legge non è ancora arrivata e si può essere liberi di autodeterminarsi e fare fortuna.
Ma per un William Frederick Cody alias Buffalo Bill che ce la fa a creare un business mondiale di successo (il Buffalo Bill Wild West Show), ce ne sono altri centinaia di migliaia che si sono persi lungo la strada del sogno americano, con una grande visione in testa ma vittime di un ambiente ostile, dove il successo è frutto di duro lavoro e le sole idee non bastano.
Con l’aiuto di quanto spiegato a lezione da Andrea Genovese (qui potete trovare una dettagliata biografia), Co-fondatore – solo ultima in ordine cronologico – di Roma Startup, proviamo a parafrasare l’incipit dell’articolo, degno di un film di Sergio Leone, inserendolo in un modello di business nell’economia digitale.
Qual è l’obiettivo principale di una Startup? La risposta corretta è: quello di una qualsiasi azienda del globo terracqueo, ovvero vendere, costruire sostenibilità economica e fare profitti. Bisogna creare valore, distribuirlo e trattenerne una parte per crescere ulteriormente. Altrimenti? Si fallisce (leggere il blog startupover per credere!).
Ma questo potrebbe non essere un problema, bensì un’opportunità, perché molto spesso il fallimento è solo l’inizio di una nuova avventura, chiedere a Travis Kalanick, the UBER man, arrivato al successo con la Startup di noleggio con conducente (dopo due precedenti fallimenti) che, dopo aver sfondato negli States, ora è arrivata anche in Italia.
Grazie anche a programmi istituzional/ministeriali come Restart Italia!, che riconosce alle startup innovative un ruolo fondamentale di innovazione e sviluppo trasversale a tutta l’economia reale, si sta cercando di promuovere l’agenda digitale del nostro paese prevedendo facilitazioni nel processo burocratico di creazione delle startup e incentivi fiscali per chi investe in queste nuove imprese.
Tutto questo stimolerà il processo di proliferazione del mondo delle startup, come già sta avvenendo alla media di 5 al giorno (sono 1792, al 17 marzo 2014, le startup innovative registrate alle Camere di Commercio d’Italia in un anno), creando ambienti (incubatori, acceleratori, spazi di coworking) utili all’inseminazione e alla radicazione delle idee, alla ricerca di finanziatori e venture capitalist.
Questo sicuramente porterà alla crescita della qualità dei progetti imprenditoriali, aumentando in maniera esponenziale i casi di successo (oggi meno del 2% delle startup create sono prossime ad una fase di “exit”, in grado, cioè, di permettere agli investitori che hanno supportato la crescita di smobilizzare il proprio investimento), ma anche alla proliferazione di startuppers senza arte né parte, che faranno la fine della stragrande maggioranza dei pionieri del Far West, che perivano cercando la felicità. Perché, per dirla alla Gianni Morandi, uno su mille ce la fa; e per un Mark Zuckerberg che riesce, ci sono tanti Pinco Pallino che falliscono.